ISSN 2970-2321
ISSN 2970-2321
Cluster : NORTH-WESTERN SICILIAN
Sottobacino : SICILIA
Scritto da : S. Pasta, P. Lo Cascio & V. Di Dio
Data di creazione : 27/05/2021
Per citare questa versione : PASTA, S., LO CASCIO, P., DI DIO, V. (2021). Foglio dell’isola : Delle Femmine – Sottobacino : Sicilia. Atlas of Small Mediterranean Islands. https://pimatlas.org/delle-femmine/
Comune | Isola delle Femmine | |
Arcipelago | / | |
Area (ha) | 14,64 | |
Costa (metri) | 1500 | |
Distanza dalla costa (miglio nautico) | 0,2 | |
Altitudine massima (metri) | 36 | |
Coordinate geografiche | Latitudine | 38,210319 |
Longitudine | 13,236072 | |
Proprietà della terra | / | |
Organo di gestione | Lipu/Birdlife Italia | |
Stato di protezione | nazionale | / |
internazionale | / |
L’Isola delle Femmine (o “Isola di Fuori”) è localizzata nel Golfo di Carini (Mar Tirreno meridionale), ad una distanza di circa 400 m dalla costa del comune di Isola delle Femmine, dalla quale è separata da un braccio di mare profondo mediamente 2 m. Dal punto di vista morfologico essa è contornata da una scogliera rocciosa che evolve nel versante settentrionale in un’erta falesia. All’interno, ad eccezione di un tratto subpianeggiante nel settore meridionale e di un gradone subverticale nella parte centrale, i versanti risultano poco acclivi e raggiungono la modesta quota di circa 36 m s.l.m., nei pressi torre di avvistamento (Torre di Fuori). L’isola si estende per circa 13,5 ha e presenta una forma approssimativamente rettangolare, allungata a sud-est ed interrotta, all’estremo meridionale, da un braccio di mare di circa 4 m che la separa da un piccolo scoglio denominato Punta di Fuori. L’isola è costituita da carbonati di ambiente neritico risalenti al Giurassico superiore ed al Cretaceo superiore, depositatisi in un intervallo temporale compreso tra 160 e 65 milioni di anni fa. Il paesaggio sommerso che circonda l’isola rispecchia l’orografia della costa del Golfo di Carini: ampie terrazze precipitano con salti repentini, corrispondenti grosso modo alle isobate -25 m, -50 m e -100 m. Tale morfologia testimonia i ripetuti episodi di connessione di Isola delle Femmine con la costa antistante. Per effetto delle fasi di regressione e di trasgressione marina e dei movimenti tettonici, durante il Pleistocene l’isola ha rappresentato più volte un promontorio dell’isola maggiore, mentre nelle fasi di separazione essa ha avuto dimensioni anche notevolmente inferiori alle odierne. Per quanto concerne il clima, sulla base dei dati della stazione termo-pluviometrica del vicino abitato di Isola delle Femmine, le precipitazioni medie annue ammontano a 632 mm e risultano prevalentemente concentrate nel periodo autunno-vernino, mentre la temperatura media annua è di 19,6 °C. L’isola risulta dunque caratterizzata da un bioclima con termotipo termo-mediterraneo superiore e ombrotipo secco inferiore.
Isola delle Femmine è stata verosimilmente frequentata dall’uomo sin dall’antichità, come testimoniano le vestigia di alcune vasche per la preparazione del garum – una salsa a base di pesce e sale alquanto ricercata e oggetto di commercio in tutto il Mediterraneo – attribuibili all’età punico-romana (IV sec. a.C.-IV sec. d.C.) e dal ritrovamento di antiche anfore nei fondali circostanti. La datazione dei reperti ritrovati testimonia una frequentazione abbastanza continua dell’isola lungo un ampio arco temporale. Nel 1176 i re normanni la donarono all’Arcivescovo di Monreale. Tra il 1590 ed il 1594, nell’ambito di un progetto mirato alla realizzazione di un più vasto sistema di torri costiere poste lungo il perimetro regionale a controllo degli attacchi da parte dei corsari algerini, venne eretta la Torre di Fuori, probabilmente sulla base di un manufatto preesistente.
Nel Settecento l’isola venne data in concessione al Conte di Capaci. La struttura militare ha continuato ad ospitare ininterrottamente una guarnigione di 3-4 effettivi sino al 1820, quando la fine delle incursioni piratesche rese superflua la presenza di soldati sull’isola e cessarono gli ordinari lavori di manutenzione della torre.
In tempi più recenti, la pastorizia è stata praticata sino al 1997, anno di istituzione dell’area protetta. Sino ad allora, durante il periodo autunnale-invernale greggi di ovi-caprini venivano trasportati con le barche, mentre mucche e cavalli venivano fatti traversare a nuoto e lasciati pascolare sull’isola sino alla primavera. Il pascolo, il taglio delle specie legnose per ricavarne legname, la raccolta di foglie di Chamaerops humilis L. per la fabbricazione artigianale di scope, gli incendi appiccati per stimolare il rinnovo del pascolo (l’ultimo significativo risale alla fine degli anni Settanta), nonché l’introduzione di Oryctolagus cuniculus (L.) per scopi venatori e la colonizzazione da parte di Rattus norvegicus Berkenhout, sono gli episodi salienti della più recente storia di modificazione del manto vegetale dell’isola, con la forte regressione delle specie legnose a vantaggio delle formazioni erbacee.
Le indagini di carattere archeologico, avviate da V. Tusa nel 1958, sono state aggiornate nel tempo. L’auspicata realizzazione di ulteriori saggi non dovrà collidere con le esigenze di tutela di un sito Natura 2000.
Pur rappresentando un elemento focale del paesaggio naturale del comprensorio, non tutti gli aspetti naturalistici di Isola delle Femmine sono stati investigati; inoltre, le conoscenze già acquisite meriterebbero di essere aggiornate.
Sebbene l’area vasta del Golfo di Carini sia stata oggetto di numerosi studi e le conoscenze geologiche, geomorfologiche e sedimentologiche acquisite siano ottime, non esiste ad oggi uno studio incentrato sull’isola. Mancano inoltre studi sul regime e l’alternanza dei processi di sedimentazione e/o di erosione del litorale, di importanza cruciale per una migliore gestione degli ecosistemi marini e costieri delle adiacenze dell’isola e della costa antistante.
Le prime indagini botaniche sull’isolotto risalgono al XVII secolo, quando il frate cistercense Paolo Silvio Boccone vi descrisse ‘Serpentaria minor, Saxatilis, Sicula, Arisari Angusti Folij Folijs’, corrispondente a Biarum tenuifolium (L.) Schott. Gli anni Sessanta del secolo scorso segnano la ripresa delle indagini botaniche nelle isole satelliti della Sicilia. All’inizio di quel decennio due botanici dell’Università di Palermo, A. Di Martino e S. Trapani si recarono ripetutamente sull’isolotto; i risultati delle loro indagini sono stati pubblicati in un contributo che fornisce una lista della flora vascolare e alcune informazioni sulla vegetazione. Più recentemente, tra il marzo del 2008 ed il maggio del 2010, O. Caldarella, A. La Rosa e S. Pasta hanno svolto ripetute visite finalizzate all’aggiornamento delle conoscenze sull’isolotto (flora vascolare, vegetazione e habitat d’interesse comunitario).
Sin dal 2000 l’Ente gestore della riserva ha promosso l’attività di ricerca scientifica facilitando le prospezioni di diversi specialisti (es.: A. Carapezza, F.P. Faraone, F. Lillo M., Lo Valvo, B. Manachini, B. Massa, M. Romano, I. Sparacio e P. Di Stefano). Tali attività di campo hanno permesso di radunare un quadro conoscitivo soddisfacente sulla fauna vertebrata, sull’artropodofauna, sulla malacofauna e sulla geologia della porzione emersa dell’isola. Alcuni dati emersi dalle prospezioni sono stati già pubblicati o saranno pubblicati a breve.
La colonia nidificante di Larus michahellis viene monitorata continuamente dal 1992 dalla Stazione Siciliana di Inanellamento che provvede ogni anno ad inanellare i pulli di gabbiano, mentre censimenti periodici vengono effettuati dall’ente gestore della riserva.
Manca un regolare monitoraggio della qualità dei fattori abiotici dell’isola, certamente influenzati dalla presenza di numerosi centri abitati sulle coste adiacenti, l’inquinamento atmosferico, acustico, luminoso ed elettromagnetico.
Il reef a vermeti fu descritto scientificamente per la prima volta proprio in questi luoghi nel 1854 dal naturalista francese Armand De Quatrefages nel resoconto dei suoi viaggi “Souvenirs d’un naturaliste”.
La ridotta distanza dalla costa antistante, unitamente all’esposizione a molteplici fattori di disturbo sino al recente passato (pascolo stagionale, taglio, incendio, introduzione di mammiferi, crescita esponenziale delle coppie di gabbiani), giustificano la scarsa originalità biologica dell’isola rispetto al tratto adiacente della Sicilia nord-occidentale. Il recente censimento della flora vascolare ha consentito l’accertamento della presenza di ben 219 taxa vegetali. Tra gli endemiti presenti Limonium bocconei (Lojac.) Litard. e Romulea linaresii Parl. subsp. linaresii sono esclusivi della fascia costiera della Sicilia nord-occidentale, mentre altri presentano una distribuzione estesa all’intero territorio regionale (Allium lehmanii Lojac.), o all’Italia meridionale-tirrenica (Biscutella maritima Ten., Carlina sicula Ten. subsp. sicula). Rispetto al censimento floristico effettuato 50 anni prima è stato registrato un notevole aumento del numero di taxa (ben 114 nuovi contro 29 scomparsi). Si tratta perlopiù di piante nitrofile, ruderali e pioniere tipiche di aree coltivate, discariche, aree suburbane. Si registra inoltre un forte incremento (+10%) delle specie vegetali ad ampia distribuzione e delle piante esotiche naturalizzate, casuali e invasive.
La comparazione con foto risalenti a circa 50 anni fa evidenzia la forte regressione del mosaico costituito da consorzi casmo-alofili a Limonium bocconei (habitat 1240) e da praterie annue subalofile a Anthemis secundiramea Biv. subsp. secundiramea e Frankenia hirsuta L. (habitat 1310), oggi sostituito da comunità nitrofilo-ruderali a dominanza di Beta vulgaris L. subsp. maritima (L.) Arcang. e Malva sylvestris L.. Presso i ruderi della Torre e nelle aree subpianeggianti del settore meridionale dell’isola predominano comunità nitrofilo-ruderali riferibili alle classi Onopordetea acanthii Br.-Bl. 1964, Parietarietea judaicae Oberd. 1977 e Stellarietea mediae Tüxen, Lohmeyer & Preising ex von Rochow 1951. Nuclei di arbusteto alo-xeronitrofilo a Sarcocornia fruticosa (L.) A.J. Scott (habitat 1430) sono presenti in modo sporadico lungo l’intero perimetro dell’isola, mentre la sua porzione centrale ospita nuclei discontinui di macchia termo-xerofila a Pistacia lentiscus L. (habitat 5330). Nelle radure della macchia si osservano aspetti di prateria xerica perenne e annua riferibili rispettivamente alle classi Lygeo-Stipetea Rivas-Martínez 1978 e Stipo-Trachynietea distachyae Brullo 1985 (habitat 6220).
Con circa 500 coppie nidificanti stimate, la locale colonia di Larus michahellis (Naumann) rappresenta una delle più consistenti nell’ambito del Tirreno meridionale; la specie ha colonizzato l’isolotto a partire dal 1988 e da allora il numero di effettivi si è accresciuto rapidamente, sino ad attestarsi al valore attuale. L’isolotto assolve inoltre un ruolo significativo per numerose specie di uccelli migratori, offrendo loro caratteristiche maggiormente idonee per la sosta rispetto alla costa antistante, marcatamente antropizzata. La fauna vertebrata comprende 5 specie di rettili, cioè Hemidactylus turcicus (Linnaeus, 1758), Tarentola mauritanica (Linnaeus, 1758), Podarcis siculus (Rafinesque‐Schmaltz, 1810), Chalcides ocellatus (Forskål, 1775) e Hierophis carbonarius (Bonaparte, 1833). Non sono invece presenti mammiferi, giacché Rattus norvegicus Berkenhout è stato completamente eradicato nel 2009 e Oryctolagus cuniculus (Linnaeus, 1758) nel 2012. È inoltre confermata la nidificazione di Sylvia melanocephala (Gmelin, 1789) e di Turdus merula Linnaeus 1758, specie insediatesi immediatamente dopo la scomparsa del ratto. È plausibile che l’entomofauna e la malacofauna terrestri abbiano risentito positivamente dell’eliminazione del ratto.
Emergenza naturalistica delle acque che lambiscono l’isola è il reef o trottoir a molluschi vermetidi (habitat 1170). Esso contorna il perimetro di quasi tutta l’isola, ad eccezione del versante settentrionale dove viene sostituito da formazioni ad alghe calcaree quali Lithophyllum byssoides (Lamarck) Foslie (= L. lichenoides Philippi), che tollera meglio l’impeto delle mareggiate. Su fondali mobili è presente un esteso posidonieto (habitat 1120) che, grazie alla buona limpidezza delle acque, si sviluppa anche a modeste profondità.
I fondali marini attorno all’isola presentano differenti tipologie di copertura vegetale in funzione della loro morfologia ed esposizione. Sul lato settentrionale pareti verticali alternate a gradinate coperte da sedimenti risentono favorevolmente delle correnti di upwelling che alimentano le comunità del “coralligeno”. Le aree più protette e fratturate delle pareti sommerse, note come “i finestroni”, ospitano tuttora colonie di Corallium rubrum (Linnaeus).
Nonostante la cessazione delle attività umane incompatibili con la tutela del sito ed un crescente impegno dell’Ente gestore nell’attuare azioni di riqualificazione degli ecosistemi terrestri, il dinamismo della vegetazione è ostacolato dalle condizioni pedo-climatiche estreme e dall’impatto della locale colonia di gabbiani (calpestio e apporto di sostanza organica sotto forma di deiezioni, resti di cibo o carogne). L’abbondante presenza di Larus michahellis rappresenta inoltre un evidente deterrente per l’avifauna migratoria, sia per le specie di passo sia per quelle svernanti.
Numerose cause concorrono ad alterare negativamente l’equilibrio marino del Golfo di Carini. Lo sforzo di pesca eccessivo operato sia dalla piccola pesca artigianale sia da pescatori subacquei ha impoverito acque un tempo celebri per la loro pescosità. La massiccia pressione antropica ed il conseguente consumo del territorio, ormai prevalentemente cementificato in assenza di un’efficace pianificazione urbanistica, hanno stravolto il paesaggio dei territori rivieraschi. Da circa dieci anni soltanto gli scarichi fognari sono convogliati in un impianto di depurazione, mentre le acque meteoriche che dilavano i centri urbani raggiungono il mare senza alcun trattamento. Nel periodo estivo per effetto della massiccia frequentazione delle località balneari il carico umano sulla costa triplica, con effetti (diretti ed indiretti) deleteri sulla qualità ambientale del territorio e sugli organismi marini in particolare. Le principali azioni di disturbo sono costituite dal calpestio del reef a vermetidi, dallo scarico di olii minerali incombusti dai motori dei mezzi da diporto e dall’ancoraggio incontrollato ai danni del posidonieto.
La vicinanza del sito con l’omonimo centro abitato, con le zone industriali di Isola, Capaci e Carini, con infrastrutture quali l’autostrada A29 e la SS 113 e con l’aeroporto della città di Palermo, nonché le numerose attività diffuse lungo la costa (stabilimenti balneari, discoteche), influiscono certamente sulla qualità dell’aria, sull’inquinamento acustico, elettromagnetico e luminoso.
Le indagini geologiche, geomorfologiche e sedimentologiche svolte nel corso degli ultimi decenni sull’intero Golfo di Carini hanno condotto con DA n° 106 del 15 04 2015 all’istituzione di un Geosito specifico per l’Isola delle Femmine.
La Riserva Naturale Orientata Isola delle Femmine è stata formalmente istituita con D.A. Territorio e Ambiente della Regione Siciliana n° 584 del 01/09/1997 (Suppl. Ord. G.U.R.S. n° 3 del 16/01/1998) ed affidata in gestione alla LIPU (Lega Italiana Protezione Uccelli). Essa ricade nel territorio comunale di Isola delle Femmine, che confina ad Est con la municipalità di Palermo. In attuazione delle Direttive Europee 79/409 ‘Uccelli’ e 92/43 ‘Habitat’ dell’UE, l’isola è stata inserita nel sistema regionale di Rete Natura 2000 come Zona Speciale di Conservazione con il codice ITA020005 ‘Isola delle Femmine’ in seguito al Decreto del MATTM del 21/12/ 2015 (GURI 12.01 2016, serie generale, anno 157°, n° 8). Nel corso degli ultimi anni si è registrato il pieno successo di interventi volti all’eradicazione di Rattus norvegicus ed Oryctolagus cuniculus, nonché di diverse xenofite invasive quali Solanum linnaeanum Hepper & P.-M.L. Jaeger, Opuntia stricta (Haw.) Haw. e Ailanthus altissima (Mill.) Swingle, Parkinsonia aculeata L., Solanum lycopersicum, L.. Sono inoltre sottoposte a monitoraggio costante e regolare le piante alloctone protagoniste di rapida espansione altrove sul territorio regionale (es.: Centaurea diluta Aiton); infine, sono in fase di studio le tecniche più efficaci per l’eradicazione di Oxalis pes-caprae L. e Pennisetum setaceum (Forssk.) Chiov., che per le loro particolari caratteristiche eco-fisiologiche e per la loro capacità di dispersione rappresentano una severa minaccia per la struttura e il funzionamento delle fitocenosi locali.
Pur essendo evidente l’impatto attuale del calpestio e soprattutto dell’apporto di nitrati e fosfati legati alla presenza dei gabbiani, meno chiaro sembra il loro ruolo effettivo sia come vettori di dispersione delle piante sia come modificatori delle comunità vegetali dell’isolotto. Il loro ingresso e la loro recente esplosione demografica sull’isola dipendono con ogni probabilità dalla inadeguata gestione delle discariche di rifiuti prossime al sito, che costituiscono la principale fonte di approvvigionamento trofico del gabbiano reale mediterraneo.
Sarebbe importante monitorare l’effetto dell’eradicazione di Rattus norvegicus e di Oryctolagus cuniculus sui processi pedogenetici, sulla struttura e composizione del popolamento vegetale e sulla fauna, nonché sul trend demografico di Podarcis siculus e Hierophis viridiflavus.
I fondali marini che circondano l’isola sono compresi nel ben più vasto SIC ITA020047 ‘Fondali di Isola delle Femmine – Capo Gallo’, tuttora in attesa di diventare Zona Speciale di Conservazione. Per la loro protezione è stata inoltre istituita con Decreto del Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio 24 luglio 2002 (G.U. della Repubblica Italiana n. 285 del 5 dicembre 2002) l’Area Marina Protetta ‘Capo Gallo – Isola delle Femmine’. L’individuazione di un ente gestore che svolga pienamente le proprie funzioni appare d’importanza prioritaria per la conservazione dell’ambiente marino in esame; in effetti i soggetti incaricati che si sono succeduti nel tempo hanno svolto in maniera assai discontinua le proprie mansioni, cosicché ad oggi non risulta realizzato alcun intervento di conservazione diretta di habitat o specie.
Il restauro della torre di avvistamento seicentesca rappresenta al contempo un’attività dall’impatto potenzialmente elevato sul sito ed una sfida meritevole di essere raccolta, pena il degrado irreversibile del bene architettonico.